...gli era venuto in mente di dire che il suo ritratto, se davvero fosse esistito in musica, non lo avrebbero certo trovato in nessuna composizione per violoncello, ma in un brevissimo studio di chopin, opera venticinque, numero nove, in sol bemolle maggiore. Gli avevano chiesto perché e lui aveva risposto che non riusciva a vedersi in neint'altro che fosse stato scritto in uno spartito e che quella gli sembrava la migliore delle ragioni. E che in cinquantotto secondi chopin aveva detto tutto quanto si sarebbe potuto dire di una persona che non poteva aver conosciuto.
[…]quello che impressionava[…] era il fatto che le era parso di sentire in quei cinquantotto secondi di musica una trasposizione ritmica e melodica di ogni e qualsivoglia vita umana, normale o straordinaria, per la sua tragica brevità, per la sua intensità disperata, e anche per via di quell'accordo finale che era come un punto di sospensione lasciato nell'aria, nel vago, da qualche parte, come se, irrimediabilmente, fosse rimasto ancora qualcosa da dire.